03 janeiro, 2011

CARO PRESIDENTE, VOGLIO SOLO GIUSTIZIA PER L’ASSASSINIO DI MIO PADRE

Corriere Del Veneto.it

Caso Battisti, il figlio di Lino Sabbadin, Adriano, attraverso il «Corriere del Veneto» scrive a Dilma Rousseff

Suo padre Lino è stato ucciso da Cesare Battisti nel 1979. A più di trent’anni di distanza dall’omicidio, Adriano Sabbadin si rivolge ora alla neo-presidente del Brasile Dilma Rousseff per chiedere giustizia. Il Corriere del Veneto, attraverso l’ambasciata in Italia, provvederà a recapitare la lettera a Brasilia.

Mi chiamo Adriano Sabbadin, abito a Santa Maria di Sala, vicino a Venezia, e scrivo a tutti i brasiliani perché mi sono sentito veramente, profondamente ferito dalla decisione di Lula di non estradare Cesare Battisti. Trent'anni fa Battisti ha ucciso mio padre. Non voglio vendetta, ma da allora aspetto giustizia e non l'ho avuta. Battisti è stato condannato a quattro ergastoli per quattro efferati omicidi: mio padre, Lino Sabbadin, il gioielliere Torregiani, il direttore delle guardie carcerarie di Udine Antonio Santoro e il poliziotto milanese Andrea Campagna, per tre ferimenti e per numerose rapine e reati minori. Il tribunale ha rifiutato di concedergli le attenuanti generiche perché, si legge nella sentenza, «è stato presente nella banda armata sin dall'inizio, ha messo a disposizione dei compagni politici la sua esperienza acquisita nella malavita comune, si è sempre e comunque distinto per la sua determinazione nell'uccidere, non ha esitato neppure per un attimo». Dopo un solo anno di galera, è evaso e si è rifugiato prima a Puerto Escondido, poi in Francia —dove ha ritrovato una celebrità come giallista—e ora in Brasile dove potrebbe tornare libero. Nessuno mi potrà mai levare dalla mente quel pomeriggio del 16 febbraio 1979. Mio padre, aiutato da mia madre, stava servendo alcuni clienti della nostra macelleria. Io ero al telefono nel retrobottega e all'improvviso sentii dei colpi di pistola rimbombarmi nelle orecchie. Scappai di sopra, dove abitavamo. Dopo pochi, lunghissimi istanti vidi degli uomini allontanarsi di corsa in macchina. Quando entrai nel negozio vidi mia madre, con il grembiule bianco tutto insanguinato e mio padre era a terra, in una pozza di sangue. Chiusi le saracinesche, poco dopo arrivò l'ambulanza, ma non c'era più nulla da fare. Ai processi, dalle perizie e dalle testimonianze di un pentito, emerse che mio padre venne colpito con i colpi di grazia quando era già stato colpito ed era a terra. Lo crivellò senza pietà. La mia vita è stata completamente stravolta, mi sono trovato a 17 anni ad avere responsabilità enormi oltre a un vuoto che con gli anni, anziché diminuire, cresce. Il fatto che Battisti sia in prigione o meno non mi restituisce mio padre. Ma non c'è mai pace senza giustizia e la mia famiglia non ha avuto giustizia. Quel che interessa a me oggi non è tanto che Cesare Battisti resti in galera per sempre, ma piuttosto vederlo pentito. E da questo purtroppo siamo lontani. Per questo è giusto che espii la sua pena, anche a trent'anni di distanza dai delitti.

Adriano Sabbadin

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